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Stra, 1930 - Venezia, 1992
Dopo il successo di pubblico e di critica per la grande mostra antologica realizzata dal Comune di Padova nell’ottobre scorso ai Civici Musei Eremitani, l’opera di Saverio Rampin torna alla Galleria Michela Rizzo con un percorso espositivo che presenta, per emblemi, il lavoro dell’artista veneziano dalla metà degli anni cinquanta fino al 1990.In questa concisa, ma puntuale analisi del lavoro di Rampin, la mostra indaga dentro all’opera dell’artista, partendo dai dipinti che aderiscono al periodo spazialista fino alla ricerca degli anni sessanta e settanta. Dentro a questa sua ricerca Saverio Rampin, ormai libero dall'espressionismo dei cromatismi e sempre in bilico tra la materia e il suo dissolversi, applica una svolta mirata a rivelare che l'emozione nell'arte è cosa che può anche andare disgiunta dalle regole compositive e dagli appoggi stilistici imposti dalla tradizione formale. Tale concetto finisce con l'incarnarsi nella grazia di un'immagine sfuggente, unicamente perseguita attraverso la lirica fluidità del colore e con tinte sempre più smorzate nella tenerezza di una luce affiorante. La mostra è curata da Stefano Cecchetto in collaborazione con l’Archivio Saverio Rampin e la Galleria Michela Rizzo.
Saverio Rampin
Stra, 1930 - Venezia, 1992. Formatosi presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, si fa presto notare nell’ambiente artistico del territorio, e partecipa dal 1948 alle collettive dell’allora attivissima Fondazione Bevilacqua La Masa. É oggi considerato uno dei maggiori esponenti dello spazialismo veneziano, nonostante Rampin non abbia mai voluto firmarne il manifesto. L’artista sviluppa negli anni Cinquanta una pittura caratterizzata da una forte valenza espressiva e si distanzia dalle iniziali esperienze di matrice cubo-futurista. In questo periodo si conferma come cifra riconoscibile la virata verso cromie accese, stese con pennellate impetuose, attestando un deciso astrattismo gestuale con l’ampia serie dei Momenti (1955-1957). L’incontro con Virgilio Guidi nella fine del decennio porta l’artista a mutare il proprio linguaggio espressivo, orientato ora ad accogliere nuove soluzioni. Sul finire degli anni Cinquanta, infatti, Rampin matura un importante evoluzione e comincia a concentrare la sua ricerca sulle possibilità vibratili del colore, pacatamente steso in composizioni geometriche; le tinte accese saranno sostituite da colori delicati e l’impeto espressivo precedente lascia spazio ad una pittura più lirica e rivolta all’interiorità. Rivela nelle opere una spiccata sensibilità poetica espressa da cromatismi raffinati e delicati, quasi impalpabili, tangibili prove della sua continua, quasi ossessiva ricerca sul colore che, come la luce, e grazie alla luce, delinea nuove realtà oltre lo spazio visibile. Nel 1950, a soli vent’anni, è invitato alla XXV Biennale di Venezia e del 1951 è la sua prima personale, presentata da Pizzinato alla Galleria Sandri di Venezia. Nel 1955 riceve il Premio Venezia alla XLIII Collettiva della Bevilacqua La Masa e si aggiudica il Campari al Premio Burano, che ripete anche nel 1960. Del 1956 è il primo premio ex aequo con Riccardo Licata alla Bevilacqua La Masa. Nel 1958 gli viene assegnato uno studio a palazzo Carminati che terrà fino al 1961; continua a frequentare la Galleria del Cavallino di Carlo Cardazzo, base degli artisti spaziali e, tramite Guidi, entra in contatto con il nucleo principale degli spazialisti milanesi: Fontana, Capogrossi, Crippa e Dova. Del 1961 è l’inizio del sodalizio con Enzo Pagani, titolare di due gallerie, che fino al 1989 gli organizza quattordici mostre personali. Nel 2006 Luca Massimo Barbero cura Saverio Rampin. Catalogo generale 1945-1981. Quest'anno si è tenuta al Museo degli Eremitani di Padova la Mostra Saverio Rampin. Tempo, spazio, luce opere 1955-1991, curata da Stefano Cecchetto e in collaborazione con l'Archivio Rampin. La Galleria Michela Rizzo collabora con l’Archivio Rampin dal 2016, e ha presentato il lavoro dell’artista in diverse mostre collettive e fiere; del 2019 è la sua prima personale organizzata negli spazi dell’ex birrificio alla Giudecca, dal titolo Pensai il colore, guardai il sole, a cura di Davide Ferri.
Saverio Rampin (Stra,1930 - Venezia, 1992) ha vissuto a Venezia.
Formatosi presso l’Accademia di Belle Arti della città lagunare, nel biennio 1948-49, si fa presto notare nell’ambiente artistico del territorio, e partecipa dal 1948 alle collettive dell’allora attivissima Fondazione Bevilacqua La Masa.
Nel 1950, a soli vent’anni, espone alla Biennale di Venezia.
É oggi considerato uno dei maggiori esponenti dello spazialismo veneziano, nonostante Rampin non abbia mai voluto firmarne il manifesto.
L’artista sviluppa negli anni Cinquanta una pittura caratterizzata da una forte valenza espressiva e si distanzia dalle iniziali esperienze di matrice cubo-futurista. In questo periodo si conferma come cifra riconoscibile la virata verso cromie accese, stese con pennellate impetuose, attestando un deciso astrattismo gestuale con l’ampia serie dei Momenti (1955-1957).
L’incontro con Guidi nella fine del decennio porta l’artista a mutare il proprio linguaggio espressivo, orientato ora ad accogliere nuove soluzioni. Sul finire degli anni Cinquanta, infatti, Rampin matura un importante evoluzione e comincia a concentrare la sua ricerca sulle possibilità vibratili del colore, pacatamente steso in composizioni geometriche; le tinte accese saranno sostituite da colori delicati e l’impeto espressivo precedente lascia spazio ad una pittura più lirica e rivolta all’interiorità.
La Galleria Michela Rizzo collabora con l’Archivio Rampin dal 2016, e ha presentato il lavoro dell’artista in diverse mostre collettive e fiere; del 2019 è la sua prima personale organizzata negli spazi dell’ex birrificio alla Giudecca, dal titolo Pensai il colore, guardai il sole, a cura di Davide Ferri.
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