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Buenos Aires, 1920 - 2013
14 Giugno - 1 Agosto 2020
Opening su invito, con prenotazione obbligatoria: sabato 13 giugno 2020 dalle ore 11.00 alle ore 21.00
Finalmente sabato 13 giugno inauguriamo la nuova mostra Assembramenti, simbolo della ripartenza dopo mesi di lutto e di lockdown che hanno segnato profondamente tutti noi.
Un’esposizione anomala per la Galleria Michela Rizzo poiché, per la prima volta nella sua storia, propone nei propri spazi una collettiva con più di 30 artisti. Un vero e proprio affollamento di opere che vogliono rappresentare ricchezza emotiva e voglia di tornare a lavorare e riprendere i discorsi interrotti.Abbiamo riunito il lavoro di artisti coi quali collaboriamo da tempo e con cui abbiamo condiviso bellissimi momenti, e inserito qualche nuovo arrivo... l’auspicio è che questa reunion porti a tutti una sferzata di energia e una ventata di ottimismo!
La mostra si sviluppa attraverso un percorso variegato ed eterogeneo nel quale realtà artistiche differenti sono poste in dialogo e in confronto fra loro. Passando attraverso tutti i medium, dal disegno alla pittura, dalla scultura alla fotografia e dal video all’installazione, Assembramenti intende accogliere, all’interno di uno spazio articolato come quello dell’ex birrificio della Giudecca, un raggruppamento di opere esposte, per innalzare lo spirito e regalarci positività. È anche sulla forza dei contrasti e delle diversità che si vuole colpire e sorprendere, cominciando dalla pittura, talvolta leggera e sottile, come nelle opere su carta di Riccardo Guarneri, o nei paesaggi astratti di Saverio Rampin, talvolta più espressionista e decisa come quella di Sophie Westerlind. Frecce distribuite nello spazio, quasi a volerci indicare il percorso della mostra, The mesmerizing trinities of Kayem (from LS) di Lucio Pozzi. Forme sottili e semplici si delineano dalla mano di Giorgia Fincato sottili fili che diventano labirintiche mappe del nostro passaggio, nelle grandi carte di Mariateresa Sartori.Paesaggi mutati, attraversati, percorsi, ritratti, studiati, modificati nelle opere di Antonio Rovaldi, Francesco Jodice, Ryts Monet, Michael Hoepfner, Hamish Fulton. Osservare, spostarsi e creare diventano azioni complementari; materia, fotografie e sculture raccontano di un vissuto di cui l’oggetto artistico è appendice dell’esperienza. Le opere parlano della natura nelle sue più ampie forme: ostile e in perenne lotta con l’uomo nei light box di Andrea Mastrovito - per la prima volta in mostra negli spazi della GMR - o nell’uso che ne fa Silvano Tessarollo, dove la ritroviamo materia stessa del quadro, composto infatti da erba, terra, e acqua, lavori attraverso cui l’artista ci trasmette la transitorietà e caducità delle cose. E poi il ritorno ai temi concreti e fondanti dell’umanità e della società moderna con Antoni Muntadas: la globalizzazione, il capitalismo transnazionale, l’interconnessione delle mondo che passa anche dalla attraverso parola. Distribuite nello spazio le opere di Silvano Rubino, artista che usualmente esplora ambiti diversi - dalla fotografia, alla pittura, dalle installazioni ai video - presenta delle opere in vetro, dove alla poesia coniuga una visione concettuale.
León Ferrari (Buenos Aires, 1920-2013) figlio dell’architetto, pittore e fotografo italiano Augusto Cesare Ferrari e di Susana Celia del Pardo, è un primario esponente del movimento Concettuale nello scenario dell’arte contemporanea latino-americana. León Ferrari scopre in Italia la sua vocazione artistica; dopo le iniziali intense esperienze scultoree - spesso articolate in filamenti metallici - di modellazione in ceramica, gesso e cemento del periodo 1954-1960, la sua ricerca approfondisce il potenziale espressivo, comunicativo, irriverente, della scrittura semantica e asemantica, calligrafica ed epistolare, della Mail-Art, in particolare nell’arco degli anni Sessanta e Settanta, aprendosi poi a esperienze di strutture installative, di azioni performative, di interazioni sonore tra scultura-pubblico-video. Ricorrenti nella sua opera sono la pratica della mimesi, della ripetizione, del ricorso a codici segnici segreti, a manuali tantrici, a riletture profane della Bibbia. Come esponente di una neo-avanguardia post-surrealista, di una segnaletica alchemica che attinge in modo indiscriminato dai vari movimenti artistici contemporanei - Situazionismo, Fluxus, New Realism, Pop Art - Ferrari non ha mancato di interessare Arturo Schwarz, che lo ha pubblicato con i suoi primi disegni o scritture astratte nell’ International Anthology of the Avant-Garde del 1962, Milano. I suoi accostamenti di elementi extrartistici, perfino escrementizi, sono spesso incongrui, divertenti e irriverenti al tempo stesso, usati in direzione polemica, denigratoria, provocatoria, nei confronti degli abusi del potere laico e cristiano sulle minoranze, sulla donna. L’opera di León Ferrari è stata fortemente influenzata dal vissuto personale dell’artista, in alcuni aspetti anche molto tragico; Ferrari vive le atrocità della dittatura militare e i paradossi di un paese dove spiritualità e politiche oppressive e scellerate convivono in un clima di accettazione o indifferenza. Dal 1976 al 1991 Ferrari si esilia a San Paolo del Brasile in seguito alla perdita del figlio Ariel durante la repressiva dittatura argentina. L’artista stesso precisa che la sua attività ha un ver- sante di analisi estetica del linguaggio e un versante di militanza e denuncia a difesa dei diritti umani, che culmina quando, nella retrospettiva del 2004 al centro culturale Recoleta di Buenos Aires, espone la grande scultura dipinta a olio, del 1965, intitolata La civiltà occidentale e cristiana in cui un Gesù Cristo è crocifisso su un cacciabombardiere FH107 nordamericano, di quelli impiegati nella guerra in Vietnam: durissima la condanna di blasfemia nei confronti dell’artista dell’allora cardinal Bergoglio, arcivescovo della capitale argentina. Il lavoro di Ferrari è spesso stato definito irriverente e provocatorio, attirando l’attenzione e sollevando sdegno e polemiche; pensiamo anche all’erotismo a volte quasi blasfemo inserito in contesti strettamente religiosi. Il Quadro escrito del 1964, La Civilisación occidental y cristiana del 1965 e Nosotros no sabiamos del 1976, segnano i momenti chiave della sua vita d’artista e di uomo libero. Dal 1976 fino al 1991 però, l’irriverenza di Ferrari si fa pagare, costringendolo a lasciare il proprio paese per ben 15 anni. Dopo una pausa dall’arte durata dalla fine degli anni 60 in poi, riprende a creare manifesti che non solo coinvolgono la patria Argentina, ma ormai fanno eco in tutto il mondo. L’attitudine sciamanica di León Ferrari conferisce carisma a una figura d’artista che sa utilizzare l’estetica per mettere anche in questione l’etica della cultura occidentale.Il suo lavoro, nell’eterogenia di mezzi, è una risposta urgente e necessaria all’indifferenza e alla negazione; un urlo di protesta che si solleva coraggiosamente, spesso con un certo humor, anche verso ciò che viene ritenuto intoccabile. Una serie di importanti mostre personali sono in programmazione nel prossimo futuro: al Bellas Artes Museum a Buenos Aires, al Museo Reίna Sofìa di Madrid, al Van Abbemuseum di Eindhoven e al Musée National d’Art Moderne Centre Pompidou di Parigi.
La Galleria Michela Rizzo collabora con León Ferrari (e in seguito alla sua scomparsa nel 2013 con l’Estate) dal 2008, anno in cui organizza una sua mostra personale a Palazzo Palumbo Fossati, a cura di Irma Arestizabal.
https://leonferrari.com.ar/
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