Public Walk di Hamish Fulton

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Hamish Fulton 

Artissima, Pista Lingotto Fiat, Torino

Venerdì 2 Novembre 2018 ore 16.00

Public Walk dell’artista Hamish Fulton si terrà il 2 novembre 2018 alla Pista del Lingotto Fiat alle ore 15 30.  Hamish Fulton, protagonista della ricerca internazionale dagli anni Sessanta, con i suoi Public Walk, pratiche artistiche che si esprimono in camminate in contesti naturali o urbani condivise con partecipanti,  è considerato uno dei maestri dell’arte concettuale che si esplica in rapporto con il territorio. Le opere derivate dai Public Walk sono presenti nei principali musei internazionali d’arte contemporanea.

Informazioni pratiche

La partecipazione alla performance è gratuita, previa prenotazione.

I partecipanti sono invitati a raggiungere la Pista del Lingotto alle ore 15.30 per ricevere le istruzioni necessarie per la camminata, che inizierà intorno alle 16.00 (è raccomandata la puntualità).

La camminata durerà circa un’ora e si terrà con qualunque condizione atmosferica: si consiglia dunque un abbigliamento idoneo. I partecipanti potranno portare con sé borse o zaini, purché poco ingombranti o verranno invitati a lasciare i propri bagagli presso il guardaroba. Il Public Walk si svolgerà in silenzio e l’uso di telefoni e smartphone sarà consentito solo per effettuare video e fotografie. Non saranno quindi permesse le chiamate. Durante il Public Walk un fotografo scatterà alcuni scatti dai quali l’artista potrà eventualmente scegliere qualche immagine per realizzare successivamente una o più opere.

Per il Public Walk Inviare iscrizione open call educa@castellodirivoli.org

Nome, Cognome, e-mail, telefono

Hamish Fulton Public Walk pista Lingotto Fiat rampa sud

Il progetto è realizzato da Häusler Contemporary Zürich e dalla Galleria Michela Rizzo Venezia in collaborazione con il Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli e la Cattedra di Antropologia Culturale prof. Massimo Melotti con il patrocinio dell’Accademia Albertina di Belle Arti e del Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea.

Kitchen

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Marcela Cernadas

Smeg Store, Via della Moscova, Milano

Dal 13 al 23 settembre 2018

Manon Comerio è lieta di presentare KITCHEN, la nuova opera di Marcela Cernadas concepita per gli spazi della Smeg Store in Via della Moscova. L’originale progetto milanese è organizzato da Manon Comerio Art Projects e AROMI in collaborazione con la Galleria Michela Rizzo. 

KITCHEN è il titolo che l’artista ha dato al suo “long-term project” che comprende fotografie, testi poetici, installazioni ambientali, oggetti e performance. Le figure centrali del progetto sono l’analisi della natura morta come forma di rappresentazione, del banchetto come forma d’arte conviviale e dell’ambiente dove queste figure “accadono”. Tratto riconoscibile nelle opere di Cernadas, è la sintesi formale che di volta in volta ci sorprende per la sua forza simbolica in grado di declinare sia verso la sobrietà dei monocromi sia verso la sontuosità  dei colori. Una tensione dialettica e pulsante che non esclude a priori le materie come nel caso delle sue impronte impalpabili sulla carta, sui tessuti o sul cristallo e che per la prima volta si confronta con la ceramica scelta per questo singolare progetto.

In un testo di Marcela Cernadas si legge:

Studio da più di un decennio il cibo e la sua manipolazione; il banchetto e i suoi rapporti con il lusso; il nutrimento e il suo indissolubile vincolo con l’essenzialità, la ritualità e la vitalità. Molte delle mie opere si sonno addentrate nel fragile equilibrio della natura morta e molte di loro sono state ideate nelle cucine. In quello spazio di confine tra il quotidiano e la creatività. Il progetto Kitchen non è altro che uno specchio di quella zona di confine che durante cento giorni consecutivi ha restituito la figura della cucina del mio proprio studio e delle cucine che ho abitato durante i viaggi. Una forma di espressione immediata e conviviale che mi spinge ancora una volta a interrogarmi sul significato del cibo e il senso delle sue rappresentazioni estetiche e sociali. 

E nelle intenzioni poetiche per il progetto milanese approffondisce:

In termini formali nell’installazione ambientale - un fregio composto da settanta fotografie stampate su ceramica - raccolgo una serie di elementi ricorrenti nelle mie opere come la conchiglia e il melograno. Questo fregio ricorda la forma di un polittico che riamanda per definizione alla sacralità, un’aspetto fondamentale del mio lavoro, resa evidente in varie occasioni soprattutto nella serie di  trittici sulla carne. In termini simbolici ho dato all’opera il titolo di “cucina” pensando a questo luogo come dimora del quotidiano e come dimora del divino per citare Eraclico - che in procinto di ricevere ospiti inattesi e alle prese con la preparazione di cibi nella sua cucina manifestó - : “Entrate. Non abbiate paura. Anche qui vi sono dei”.

Insieme al fregio, realizzato in collaborazione con l’azienda MORELATO e il MAAM (Museo delle Arti Applicate del Mobile) saranno esposti uno statement inedito dell’artista e una serie limitata di piatti in porcellana dall’omonimo titolo. 

Matthew Attard a Los Angels

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Matthew Attard

LACDA (Los Angeles Center for Digital Art), Los Angeles, Stati Uniti

Dal 13 settembre al 6 ottobre 2018

Matthew Attard è stato selezionato tra i dieci artisti che parteciperanno alla mostra Ten Artist to Watch presso il LACDA. Los Angeles Center for Digital Art. 

La mostra a cura di Joel Ferree sarà visibile dal 13 settembre al 6 ottobre 2018. 

 

NYSFERATU

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NYSFERATU – Symphony of a Century, un film di Andrea Mastrovito

Cinema Multisala Giorgione – Venezia

25 giugno 2018 ore 17.45

Venezia, 20 giugno 2018 – Il film NYSFERATU – Symphony of a Century, film di Andrea Mastrovito, verrà proiettato il giorno 25 giugno 2018 alle ore 17.45 presso il Cinema Multisala Giorgione di Venezia. Alla proiezione seguirà un talk condotto da Alberto Fiz, curatore e critico di arte contemporanea, per guidare il pubblico alla scoperta del lavoro dell’artista, che sarà presente in sala. Andrea Mastrovito, artista bergamasco di stanza a Brooklyn, è noto a livello internazionale per la sua capacità di declinare il disegno in molteplici linguaggi legati all’arte visiva e, a questo punto della sua ricerca, ha sperimentato il cinema come linguaggio immediato e popolare.
La proiezione in laguna si inserisce nel percorso che il film ha intrapreso nelle sale cinematografiche nazionali e internazionali. NYSFERATU arriva a Venezia dopo una tournée che ha coinvolto, grazie alla produzione dell’associazione noprofit More Art, diversi spazi nell’area di New York tra cui Queens Museum, Central Park, Brooklyn Bridge Park, Magazzino Italian Art, Printed Matter e Cantor Film Center. Successivamente, in occasione delle mostre personali di Mastrovito, il film è stato proiettato al teatro Grutli di Ginevra e alla Kunsthalle di Osnabrück per proseguire in diverse sedi internazionali come Fondazione Stelline a Milano, Belvedere 21 a Vienna, Gamec a Bergamo, Museo Novecento a Firenze, Museo Salinas a Palermo, Fondazione La Fabbrica del Cioccolato a Torre – Blenio, Innis Town Hall Theatre a Toronto, Zeitz MOCAA a Capetown e St. Ann’s Church | Bram Stoker Festival a Dublino.

NYSFERATU è un’animazione in rotoscoping, ispirata all’iconico Nosferatu di Murnau: in tre anni di lavoro, Andrea Mastrovito e un team di 12 artisti hanno realizzato oltre 35000 tavole disegnate a mano. La commistione tra una tecnica sorprendente e una colonna sonora originale scritta da Simone Giuliani, è arricchita da una trama che riprende l’originale Nosferatu di Murnau del 1922 e lo sposta nella New York e nella Siria dei giorni nostri. La rivisitazione di Mastrovito ripropone, tra l’altro, un tema urgente come quello dell’immigrazione, sovrapponendo la classica figura del vampiro con quella dell’outsider: la versione definitiva di NYSFERATU è stata resa possibile grazie ad una serie di workshop newyorkesi con immigrati da tutto il mondo che si sono relazionati con Mastrovito e MoreArt durante le fasi di stesura della sceneggiatura.
Andrea Mastrovito (Bergamo, 1978) si è formato in Italia e vive a New York. Il suo percorso si concentra sul disegno alternando il lavoro in studio a interventi installativi e performativi. Ha vinto nel 2007 il New York Prize, nel 2012 il Moroso Prize e nel 2016 il Premio Ermanno Casoli. Tra le personali, Symphony of a Century, Kunsthalle, Osnabruck (2018); Here the Dreamers Sleep, Museo Andersen, Roma (2015); At the End of the Line, GAMEC, Bergamo (2014) e Le Cinque Giornate, Museo del Novecento di Milano (2011). Il suo lavoro è stato incluso in numerose istituzioni in Europa e Stati Uniti, tra cui Museum of Art and Design, New York; MAXXI Museo delle Arti del XXI secolo, Roma; Palazzo delle Esposizioni, Roma; Manchester Art Gallery, Manchester; B.P.S. 22, Charleroi; Museum of Contemporary Design and Applied Arts, Lausanne.

More Art è un’organizzazione noprofit di stanza a New York che favorisce la collaborazione tra artisti ed enti per creare installazioni pubbliche e programmi educazionali volti alla sensibilizzazione sociale. Fin dalla sua costituzione nel 2004, More Art ha realizzato più di 40 opere pubbliche e proiezioni in location tra cui Union Square e Central Park, con alcuni dei più conosciuti artisti contemporanei.
La Galleria d’arte contemporanea Michela Rizzo nata nel 2004, fin dai suoi esordi, ospita nel suo grande spazio espositivo mostre di artisti affermati a livello internazionale e promuove la ricerca di giovani artisti emergenti. Arricchita dal florido sfondo culturale della città di Venezia, la galleria dialoga con alcune tra le più importanti istituzioni e personalità della scena artistica contemporanea.
Alberto Fiz critico d’arte, curatore di mostre e giornalista specializzato in arte e mercato dell’arte. Realizza progetti scientifici che coinvolgono giovani artisti e maestri classici svolgendo ruoli di direzione e di consulenza artistica. Già direttore artistico del museo MARCA di Catanzaro (sempre a Catanzaro ha realizzato il Parco Internazionale della Scultura), collabora con la Regione Autonoma Valle d’Aosta e con numerose altre istituzioni tra cui la Soprintendenza Speciale di Roma con cui ha organizzato mostre in aree archeologiche quali le Terme di Diocleziano, il Palatino e le Terme di Caracalla. E’ art advisor di Intesa Sanpaolo Private Banking. Collabora con Arte e Milano Finanza.

Ryts Monet. Forse vincerai di Pietro Gaglianò

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“Forse vincerai” è un’ipotesi o un augurio, o anche una sardonica professione di dubbio che relativizza ogni certezza rispetto agli umani successi. In forma di cartiglio spunta dalle briciole di un biscotto della fortuna di un ristorante cinese e per Ryts Monet innesca un confronto dialettico con le ossessioni della cultura contemporanea: la memoria, l’identità, la forma visibile delle cose e le ambiguità che ne nascono. Una delle contraddizioni più irrisolte delle civiltà riguarda l’investimento di senso nelle immagini: una iconofilia che talora degenera in fanatismo e che con l’avvento della riproducibilità tecnica ha originato una crisi rispetto alla determinazione della realtà effettiva. È l’ossessione del visibile, è l’equivoca fiducia nella rappresentazione del sé collettivo e individuale che si fonda sulla fragilità di un riconoscimento automatico e acritico in simboli ridotti a feticci, in figure degradate a semplice apparenza, e riguarda tanto la Storia del mondo quanto le storie personali. In questa prospettiva “la costruzione e la demolizione dei monumenti”, come scrive Gerard Raunig, “sono parte di uno stesso gioco”¹, rispettano la presunzione che la registrazione di un’immagine o la sua distruzione siano il punto supremo della certificazione dell’identità. Per questo motivo in alcuni luoghi i monumenti vengono fatti saltare in aria e altrove vengono replicati, riprodotti, imitati, come avviene per le effigi degli uomini politici e, su un’altra scale, per i ritratti dei protagonisti della nostra geografia sentimentale. Vanamente, nell’uno e nell’altro caso.

Ryts Monet si è concentrato in vari modi su questo tema nel corso della sua ricerca, isolando ogni volta fattori controversi del rapporto che l’uomo contemporaneo intreccia con il vasto panorama della produzione di immagini, delle iconografie del potere, dei miti dell’identità e della realizzazione personale sollecitati dal sistema consumista. Un altro dozzinale oracolo cinese (“You are going to find recognition”) diventa così la chiave per interpretare il rapporto tra una vecchia cartolina di Roma, con le tre colonne superstiti del Tempio dei Dioscuri, e la banconota da cinque dollari dove appare il Lincoln Memorial del 1922 a Washington, con le sue colonne che sono la citazione di una malintesa citazione neoclassica del mondo antico. L’artista descrive senza moralismi l’irrevocabile vocazione dell’umanità a contraffare i simboli, a distruggerli, a crearne di nuovi, e la sua disinvoltura nello scambiare la realtà con la sua rappresentazione. Tutto questo avviene con le dinamiche del consumo accelerato, in uno scenario dove il vecchio e il nuovo, l’autentico e i suoi scimmiottamenti giacciono nello stesso paesaggio di rovine avvolte in un moto continuo.

La serie Miracolo da 50 punti (presentato qui per la prima volta) di cui fa parte l’opera appena descritta (assieme ad altre tra cui Maybe you will win) è solo l’ultimo progetto dedicato al senso dell’umanità per i monumenti. All’origine si trova Sisters, del 2014, una serie di ottantotto immagini di copie della Statua della Libertà riprese in altrettanti luoghi (in mostra ne vengono presentate 22, tra cui anche quella della statua che si trova a Parigi, originaria, anche se non originale rispetto al colosso newyorchese). L’opera “sintetizza l’indifferenza in cui cade l’icona, in questo caso la controversa paladina delle libertà democratiche, spogliata di senso, dilatata e contratta come una serigrafia pop”², e traslata a ornare giardini privati, periferie anonime e centri commerciali.

Al centro ideale di questa attenzione si trova Lamassu, emblema del conflitto tra  la furia iconoclasta dell’estremismo, che produce rovine di rovine, e la moltiplicazione del feticismo occidentale nei loro confronti. Lamassu è il nome di una divinità assira, un demone alato dal corpo di leone e dalla testa umana che spesso sovrintendeva benevolo gli ingressi dei palazzi e dei templi. Nel 2014 il millenario Lamassu della città di Nimrud in Iraq ha condiviso la sorte di distruzione di altre vestigia della civiltà mesopotamica, devastate dall’ISIS. Il frammento delle due zampe anteriori, è stato rilevato con una scansione 3D³. Le zampe artigliate di Lamassu, sono ora una malinconica “scultura dell’immagine di una scultura” che racconta il fatale ciclo di ascesa e caduta, di gloria e dissipazione di ogni cosa umana. E aggiunge un po’ di sconforto rispetto al progresso della civiltà e un po’ di cinismo riguardo all’ottimismo acefalo cui si ispira la tecnologia.

Quasi disposto ortogonalmente rispetto a questo percorso sui monumenti e la memoria si trova un’altra interpretazione delle contraddizioni del mondo. RIOT:, un’iscrizione in lettere dorate  sulla vetrina dello spazio espositivo, racconta in sintesi un articolo di fisica sulla formazione dell’oro sul nostro pianeta. Il fatto che il simbolo dei conflitti e della protervia sia una presenza aliena, e la polisemia di ‘riot’ (disordine, protesta, sommossa), si connettono idealmente al video The Battle of Bijlmer (visibile solo la sera dell’inaugurazione). Una telecamera a circuito chiuso ha ripreso una competizione di freestyle-rap, organizzato tramite un bando aperto ai rapper del quartiere di Bijlmer, Amsterdam, dove convivono abitanti di 130 diverse nazionalità e solo il 30% è olandese. L’unico vincolo imposto ai partecipanti era quello di utilizzare ciascuno la propria lingua nativa durante la competizione: una nuova Torre di Babele che dai suburbi europei si congiunge ai panorami biblici della Mesopotamia, con l’origine della divisione degli uomini in una reciproca incomprensione.

Si torna dunque in Iraq, sulla linea di altre mitologie, e l’intera umanità appare alla fine indifesa al cospetto di se stessa, schiacciata dall’induzione di desideri e comportamenti in una diffusa atmosfera di sopraffazione, di violenza, di finzioni contrabbandate come realtà.

 

Per leggere la versione originale: http://www.drosteeffectmag.com/maybe-will-win-pietro-gagliano-ryts-monet/

 

¹ Gerald Raunig, Kunst und Revolution. Künstlerischer Aktivismus im langen 20. Jahrhundert, Vienna 2005 [ed. cons. Art and Revolution. Transversal Activism in the Long Twentieth Century, Semiotext(e), Los Angeles 2007, p. 108].

² Pietro Gaglianò, Memento. L’ossessione del visibile / The Obsession with the Visible, Postmedia Books, Milano 2016.

³ La scansione è stata realizzata nell’ambito  del  Virtual Museum of Iraq, un archivio multimediale on-line che raccoglie le principali opere e reperti presenti sul territorio iracheno. L’archivio è stato finanziato dal Ministero degli Affari Esteri italiano e realizz ato nei laboratori del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Tutta l’arte è imitazione della natura

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Ivan Barlafante

Museo Orto Botanico di Roma

Dal 18 al 23 giugno 2018

Siamo felici di segnalare la partecipazione di Ivana Barlafante alla mostra Tutta l'arte è imitazione della natura (Seneca). 

Saranno 25 gli artisti di livello internazionale che esporranno al Museo Orto Botanico di Roma. Una mostra collettiva che avrà come protagonista assoluta la Natura. 
Con l‘affermazione “Tutta l'Arte è imitazione della Natura”, il filosofo romano Seneca descrive il legame fondamentale che esiste tra l’Arte e la Natura, nato nell’uomo attraverso l’interpretazione dell’ambiente che lo circonda, elemento fondamentale nel costante dialogo che la Natura genera con l’Opera d’Arte. Per questo, il Museo Orto Botanico rappresenta “Il luogo ideale” dove le opere artistiche andranno a ricreare un dialogo, mai scontato, ma sempre riflessivo.  
Le opere collocate in diversi punti del Museo Orto Botanico, daranno vita a un percorso visivo itinerante. 

Francesco Jodice alla II^ Biennale di Yinchuan

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Francesco Jodice

II^ Biennale di Yinchuan, Cina

Dal 9 giugno al 19 settembre 2018

 

Siamo felici di condividere con voi alcune immagini che arrivano dalla II^ Biennale di Yinchuan, a cura di marco Scotini. 

In mostra, Francesco Jodice con una serie di opere legate al suo film Aral Citytellers.

Speciale Biennali

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Siamo felici di segnalarvi: 

Francesco Jodice 
Second Yinchuan Biennale 
09.06 - 19.09.2018


Francesco Jodice, Aral Citytellers, Kyzylorda, #007, 2008
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Martino Genchi 
Ryts Monet 
6. Moscow International Biennale for Young Art
07.06 - 31.07.2018


Martino Genchi, Comets Buried Underground, 2016


Ryts Monet, Migrant, 2017

Kateřina Šedá alla XVI Mostra Internazionale di Architettura di Venezia

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Kateřina Šedá

Biennale di Architettura di Venezia, Venezia

Dal 26 maggio al 25 novembre 2018

L’assenza della vita normale nei centri delle città turisticamente popolari. Questo è il tema del progetto al quale sta lavorando Kateřina Šedá per la 16. Mostra Internazionale di Architettura a Venezia. Il padiglione espositivo cecoslovacco diventerà la sede fittizia della compagnia UNES-CO la quale si pone come obiettivo: far tornare la vita normale nei centri spopolati delle città storiche.

"Le case nelle quali non vive nessuno. I negozi che non servono a nessuno. Le vie nelle quali la gente non si incontra ma si evita a vicenda. Questa può essere la caratteristica dei posti socialmente esclusi ma anche la caratteristica dei posti più belli al mondo iscritti sulla lista del patrimonio dell’umanità UNESCO. Queste somiglianze e uguaglianze dei posti diametralmente differenti mi hanno ispirato per il progetto che registra dei problemi connessi con l’aumento del turismo", dice Kateřina Šedá. 

La prima città scelta dall’autore, per ‘riscaldarla’ (renderla più accogliente), è diventata Český Krumlov; piccola città con tredici mila abitanti nel sud della Repubblica Ceca. Annualmente la visita più di un milione di visitatori che porta al trasloco graduale dei cittadini fuori dal centro storico. Nelle case dove prima si viveva oggi ci si trovano alberghi, ristoranti o negozi con merce turistiche. Di gente locale nel centro vivono solo alcune persone. Questo è il destino che molti predicono nel futuro non lontano anche a Venezia. 

Il progetto di Kateřina Šedá – compagnia UNES-CO – proverà a invertire questo trend e mostrare le possibili soluzioni. Ad alcune famiglie offrirà non solo l’abitazione per un periodo iniziale ma soprattutto un salario per lo svolgimento della ‘vita normale’ nel centro città. A Venezia nel padiglione ceco-slovacco nascerà la sede di questa iniziativa. Qui sarà possibile dare un’occhiata ai materiali con l’offerta di ‘attività normali’ e la trasmissione diretta dalle vie di Český Krumlov dove si svolgerà la prova del: far tornare la vita normale nelle vie di Český Krumlov. 

Il tentativo dell’artista non consiste solo nell’avvisare dei problemi connessi con l’estremo aumento del turismo ma soprattutto portare alle parti interessate le soluzioni concrete. L’elemento importante del progetto è il visitatore stesso. “il mio obiettivo non è di criticare il turismo ma trovare il modo come fermare lo straniero e farne per un momento un paesano. Io sguardo da uomo a uomo – è la chiave di volta come cambiare la località esclusa in un posto comune” aggiunge Kateřina Šedá.

Eresia (del) Florilegio

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Matteo Fato

Spazio K, Palazzo Ducale, Urbino

dal 22 marzo al 06 maggio 2018

Dopo il grande successo della prima edizione, la Galleria Nazionale delle Marche prosegue nella Grande Cucina dei Sotterranei del Palazzo Ducale di Urbino la programmazione nello SPAZIO K, lo spazio permanente dedicato ad artisti emergenti. La seconda edizione, intitolata “Cambi di rotta”, a cura di Umberto Palestini, inizia con una personale di Matteo Fato: Eresia (del) Florilegio.

Matteo Fato è uno degli autori più interessanti nell'attuale panorama artistico contemporaneo. Egli è un artista in grado di rivitalizzare la prassi della pittura attraverso la capacità di creare spazi 'sensibili' grazie ad un raffinato arazzo compositivo, orchestrato in modo mirabile.
Negli anni, per alcune significative personali, ha realizzato cavalletti di diverse dimensioni, dalle forme rigorose e minimali, quali richiami evidenti della sua personale indagine. Tre di questi cavalletti, insieme ad alcuni dipinti, approdano a Palazzo Ducale per la personale Eresia (del) Florilegio. Il titolo, oltre ad indicare l'ultima opera inedita legata al ciclo dei (busti), esprime la volontà dell'artista di proporre un'antologia di lavori che tornano o arrivano a Urbino, città dove l'autore si è formato.
Installare opere realizzate in tempi e spazi lontani nel grembo da cui tutto è nato, significa accettare la pericolosa sfida di una verifica, far sprigionare significati, energie impreviste, ma anche mostrare possibili incongruenze. Se questo è il rischio del florilegio, la sua eresia, ben venga la sfida, perché l'arte che non contempli la possibilità dell'errore è arte senza vita, banalmente pacificata. I dipinti esposti a Palazzo Ducale sono contornati da cavalletti, e rimandano come un'eco lontana a un'opera cara all'autore: L'artista nel suo studio di Rembrandt. Molto spesso l'arte è un viaggio nel tempo dove il ritorno, però, non diventa semplice approdo, ma slancio per una nuova ripartenza verso rotte non ancora percorse.
La personale proposta dall'autore in uno degli spazi simbolo del Rinascimento, sarà un'installazione site-specific che raccoglierà una serie di lavori storici e inediti in un progetto di grande e suggestivo impatto.