#03 Lucio Pozzi

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#LARTERESISTE

I Visionari

Lucio Pozzi

Desidero non sapere in anticipo come va a finire un lavoro.
La tensione verso l’irraggiungibile è la forza che mi spinge, penso che l’intenzionalità calcolata sia il grande malanno dell’arte oggi.

Sovvertitore di regole e allergico a dogmi, stili, schemi, principi, verità assodate e convezioni, Lucio Pozzi spiazza pur non desiderando spiazzare e si configura, probabilmente anche in questo caso suo malgrado, come personaggio unico nel panorama artistico internazionale.

Painting is dead; long live painting.

Fin dagli anni 60 quando Pozzi si sposta a NY, città in continua e fervente trasformazione dove accadeva tutto, ha sempre difeso il medium della pittura che allora stava subendo una forte contestazione ed era dichiarata morta da fonti più che autorevoli.
Pur muovendosi in maniera trasversale attraverso le varie discipline artistiche Lucio considererà il dipingere il fondamento della sua ricerca e affronterà le diverse pratiche – la performance in particolare sarà uno dei suoi cavalli di battaglia, ma anche l’installazione e la fotografia – sempre partendo da alcuni ‘appigli’, delle costanti da lui individuate, caratteristici del fare pittura.
Li definirà Meccanismi di Traduzione, poiché una volta posti come base del suo procedere, potranno convertirsi via via in soluzioni estetiche molto differenti e andranno a sopperire la totale mancanza di parametri a cui affidarsi, in particolare dopo l’avvento di Duchamp.

Una sorta di contenitore ideale con preziosi ingredienti base da cui poter attingere per elaborare sempre nuove soluzioni formali: l’accumulo, il togliere/levare, il dualismo, i quattro colori più il bianco e il nero, la Mimesi sono alcuni esempi di elementi che si possono ritrovare nel lavoro di Lucio Pozzi e che possono aiutare a orientarsi nel suo diversificato percorso.

Lucio Pozzi, Corraini Editore, pubblicazione in origine della mostra al Museum of New Art di Detroit

Se non ci sono criteri per operare nell’arte, come esistevano nelle epoche precedenti la Modernità, non ci sono criteri per giudicarla

Questo è l’unico assioma che Pozzi prenderà per buono e che gli permetterà di sganciarsi da vincoli di qualsiasi genere e procedere nel modo a lui più attinente, ossia: fare esattamente quello che più gli pare e gli piace.
Ma Lucio è un fine pensatore e saprà convertire il tutto in una teoria ben affinata e molto personale che porterà avanti per tutta la vita e che gli riserverà una posizione di rilievo nel mondo dell’arte.
Il suo procedere controcorrente è sempre al passo con il suo tempo,
mai anacronistico, nemmeno quando dipinge cose vituperate dalla contemporaneità, come paesaggi en plein air o Nature Morte, e la direzione che persegue sempre lucida e consapevole.

For as long as possibile, I would like a person entering a room to say : ‘How interesting that piece is, who made it ?‘ rather than ‘ That is a typical work by Lucio Pozzi’

Sono degli anni ‘ 80 le sue Mostre Provocazioni, la prima delle quali si tenne alla John Weber Gallery: si trattava di personali dove Pozzi esponeva opere di tali diverse tipologie da sembrare esposizioni collettive e che scandalizzarono la scena artistica newyorchese non pronta ad accogliere un’ “offerta’”di così largo spettro.
Non stiamo parlando di un modus operandi basato sulla trasgressione compulsiva di uno schema, – ha scritto bene Marcello Carriero in occasione di una personale dell’artista a Palermo –quanto piuttosto l’applicazione sistematica di una serie di figure retoriche che sono utilizzate da Pozzi per mostrare le diverse declinazioni della pittura. Figure che Pozzi adotta sotto forma di installazioni, dipinti, video, ambientazioni architettoniche e performance.’

Gioco dell’inventario (tavola degli elementi), 1967/68

Incontrai Lucio per la prima volta alla Peggy Guggenheim Collection, nei primi anni del duemila, dove tenne una lecture molto interessante durante la quale avanzava una critica nei confronti della spiegazionite acuta, uno dei mali che, secondo l’artista, affligge l’arte contemporanea: col passare del tempo la spiegazione è diventata un pacchetto più importante del prodotto e del suo contenuto. Fondamentale invece per Lucio era mantenere l’opera aperta e pronta ad accogliere il contributo dello spettatore che ogni volta aggiunge, nel fruirla, una personale visione, e la reinventa.
La prima mostra nella mia galleria, si realizzò nel 2004, pochi mesi dopo l’apertura dell’ attività. Operavo in due sedi, quella in Calle degli Albanesi, aperta al pubblico, dove installammo una magnifica tela lunga circa nove metri e alta quattro, piena di strane figure in bianco e nero, della serie Crowd Paintings, e la sala del mio appartamento adibita a spazio espositivo, situato nelle vicinanze, dove invece esponemmo dei piccoli quadri denominati Mini Paintings.

Due tipologie di lavori molto diversi. La prima opera, di grande formato e site specific, sostanzialmente figurativa e molto molto affollata di elementi di vario genere e in casa piccoli dipinti su tavola la cui superficie coperta da una leggera tela, veniva suddivisa in due sezioni e dipinta con due colori su cui l’artista poi con pochi tocchi riportava il cromatismo dell’uno sulla superficie dell’altro.
Per tutta la durata dell’esposizione, ricevetti interessanti commenti riconducibili in due categorie, chi si entusiasmava per l’opera esposta in galleria e, viceversa, chi disapprovava Storia e amava invece i piccoli lavori minimalisti. Fu per me una lezione importante. Capii sul campo che le reazioni dei visitatori potevano essere estremamente variabili e che se avessi voluto continuare su questa strada, avrei dovuto procedere secondo il mio punto di vista, anche a rischio di commettere degli errori.

Storia, Lucio Pozzi, Galleria Michela Rizzo, Calle degli Albanesi, 2004

Lavorai inoltre, sempre in quel periodo, alla pubblicazione e alla stesura di
I Prossimi 475 anni della Mia Arte e della Mia Vita, in seguito all’omonima performance che si tenne alla Fondazione Bevilacqua La Masa, operazione che mi ha permesso di approfondire lo stratificato pensiero di Pozzi, e ha anche influenzato il mio percorso professionale, spingendomi a effettuare sempre scelte il più possibile libere da condizionamenti.

Rileggendo il cammino a ritroso, non credo di esagerare affermando che la sua visione si è rivelata per me illuminante sotto tanti punti di vista. Non ultimo il fatto che la sua capacità di guardare oltre l’apparenza e magari oltre ai dati di fatto, aspetto che lo caratterizza tuttora, mi ha permesso di considerare che, anche una persona proveniente da tutt’altra situazione come nel mio caso, potesse avere delle peculiarità atte ad affrontare il mondo dell’arte, facendomi trovare la forza e la spinta necessarie per procedere in questa avventura.

Pubblicazione in occasione della performance tenutasi alla Bevilacqua La Masa nel 2004. Venezia