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La Spezia, 1938
Opening: 20 giugno 2024 ore 18:30
21 giugno - 19 luglio 2024
Dal Martedì al Venerdì, 15:30 - 19:00
La Galleria Michela Rizzo è lieta di presentare Acqua, la seconda mostra personale dell’artista Federico De Leonardis, che inaugura giovedì 20 giugno alle ore 18:30 nello spazio di Mestre.
Ligure di nascita e milanese d'adozione, Federico De Leonardis, da sempre, lavora sullo spazio che lo ospita. Ricerca un equilibrio delicato fra la presenza, affidata sempre a scarti, tracce di eventi di energia sviluppatasi altrove, e l'assenza, affidata invece alla memoria automatica comune a tutti noi.
La scrittrice Donata Feroldi, interrogandosi su cosa viviamo oggi in tutto il mondo, parla del vuoto che nessuno vuole mai guardare perché parla della morte, della solitudine, di tutto ciò di cui non vogliamo né parlare né occuparci. La reazione automatica davanti ad esso è riempirlo. Allo stesso modo anche l’arte partecipa a questo atto di riempimento del vuoto quando, a dire il vero, il suo ruolo principale sarebbe mostrarlo. De Leonardis parlando del vuoto, non lo descrive come concetto astratto, ma come parte della nostra vita fin da subito. Il vuoto è tempo: un tempo più concreto e potente di quello che vediamo scorrere sui nostri orologi o telefoni, ha sempre un effetto e avanza a scatti imprevisti e definitivi. Il vuoto è un corpo concreto, uno spazio percorribile e vivibile.
In un mondo che denuncia in modo lampante il suo horror vacui, che per fuggire dalla sua paura della morte riempie ossessivamente ogni spazio, inquinando ogni angolo visivo, De Leonardis si dimostra artista della tabula rasa, del passo indietro. Egli, in apparente contraddizione con le sue origini e i suoi studi, distrugge anziché costruire, svuota anziché riempire, lascia semplicemente alcune tracce, che scavano però nel profondo di tutti noi memorie sepolte e finalmente riemerse.
In mostra, in dialogo tra loro, sono esposte le Ossa di Shelley (anche chiamate Marine) e i Muri IV, nonché cuscini metallici.
Le Marine sono dei bassorilievi su marmi e pietre calcaree che l'artista recupera nelle cave di Carrara, considerate il suo secondo ‘studio’. Il titolo è un omaggio al poeta romantico inglese, morto in seguito a un naufragio, occorsogli nel golfo di Lerici. Sarà proprio il mare ad essere il protagonista dei versi poetici di vari autori che l’artista seleziona e incide sul minerale, quasi si trattasse di una sciarada. I testi, leggibili solo in parte, sono un rimando alla parola poetica “semi cancellata dal mare” in cui la memoria gioca un ruolo fondamentale. Difatti, questi versi sono riordinati proprio grazie alla memoria collettiva, che permette di leggere i testi, sebbene non immediatamente visibili.
I Muri IV o Cuscini sono cuscini metallici, oggetti utilizzati ancora oggi nelle cave per separare grandi blocchi di marmo precedentemente tagliati. Tra le sezioni di marmo vengono introdotti piatti, che in seguito gonfiati con immissione di acqua pressurizzata, dilatano il tessuto metallico, e separano le masse marmoree. Questi blocchi pesantissimi provocano degli attriti con le superfici dei cuscini, generandone pieghe e deformazioni. Dopo l’utilizzo, i cuscini vengono ammassati e scartati, poiché considerati oggetti ormai inutili. De Leonardis, li recupera, li restaura e li modifica giusto il necessario da renderne esplicita la polarità di gonfiori e svuotamenti, e li espone considerandoli quasi un ready made di cui vuole evidenziarne la tensione e l'energia che li ha prodotti, ormai avulsa da ogni riferimento funzionale. Il cuscino è il residuo di un’energia passata di cui l’oggetto conserva la memoria. L’artista, non mostra gli oggetti, bensì procede alla loro preliminare cancellazione, lasciandone solo dei resti, non tanto per sottrarli alla vista, quanto per renderli più visibili.
L’invisibile è qui, imprevisto, con la sua terribile presenza all’interno di ciascuno di noi, dietro il muro, quel muro che protegge il nostro inesauribile immaginario.
Federico De Leonardis
Federico De Leonardis (La Spezia, 1938).
Vissuto a Lerici fino al termine del liceo, ha studiato ingegneria prima a Roma e poi a Genova e successivamente architettura a Firenze. Dal 1963 vive a Milano dove per una decina d’anni ha lavorato come urbanista, partecipando allo studio operativo di Piani di Sviluppo Industriale per la Cassa del Mezzogiorno e Piani turistici per varie regioni. E’ sposato e ha tre figli. Abbandonata la professione, dal 1973 si dedica esclusivamente all’arte. Dopo un periodo di volontaria clausura di studio, la prima mostra personale (ex S. Carpoforo a Milano,’78) inaugura la sua carriera d’artista, che lo vede partecipare nel tempo a numerose personali e collettive sia in Italia che all’estero. Facendo tesoro delle passate esperienze nel campo dell’architettura e dell’ingegneria, la sua ricerca mantiene vivo interesse per la spazialità, producendo lavori che trovano la loro espressione ideale soprattutto in grandi installazioni, sia in spazi privati di galleria che all’aperto in spazi pubblici. Le sue opere non possono definirsi sculture nel senso stretto della parola, ma costruzioni spaziali che coinvolgono i materiali più disparati legati alla storia dei luoghi spesso non deputati che le ospitano: nelle sue installazioni De Leonardis ama lavorare sui resti di una memoria ancora viva legata ad essi, utilizzandoli come calchi di un passato indelebile di cui narrano la storia.
Uno dei primi lavori realizzati da quest’artista (Ravatti) nasce a Lerici, sui luoghi della sua infanzia, ed è una memoria di quando da ragazzo raccoglieva sulla battigia oggetti abbandonati che il mare trasforma col suo incessante movimento fino a renderne irriconoscibile l’origine e la funzione. L’installazione, costituita da migliaia di resti “naturalizzati” da lui raccolti sulle rive di tutto il Mediterraneo, è stata presentata una prima volta a Stuttgart, in occasione del IX Kunstistorische festival (’79) e successivamente al Museo del Palazzo dei Diamanti, a Ferrara (nei primi anni 80). Ma l’interesse per la materia disfatta o consumata dall’uso, suscitatrice di memorie collettive (un esempio dei primi anni d’attività il suo Novemiliardidinomididio) è evidente in tutte le installazioni successive, in cui si evidenzia una pregnante attenzione al valore del vuoto, all’assenza piuttosto che alla presenza. In un mondo che denuncia in modo oggi lampante il suo horror vacui e che per fuggire la sua paura della morte riempie ossessivamente ogni spazio, inquinando ogni angolo visivo, De Leonardis si dimostra artista della tabula rasa, del passo indietro: in apparente contraddizione con le sue origini e i suoi studi, distrugge anziché costruire, svuota anziché riempire, lasciando semplicemente alcune tracce, che scavano però nel profondo di tutti noi memorie sepolte e finalmente riemerse. Definire concettuale questo “architetto dello spazio” è riduttivo: in lui la materia è prima di tutto il calco di un’energia impiegata da altri, fisica e psichica nel contempo, e non ha alcun valore formale in senso stretto: la forma a cui pervengono le sue opere è più per sottrazione che per aggiunta, “vuoti a perdere” (secondo l’espressione di Fausto Melotti), vuoti che, attraverso la materia che li connota, memoria di un qualche evento in cui sono stati coinvolti, costruiscono geometrie semplici ma rigorose, elementarizzando la tensione euclidea tipica dell’architettura.
Le sue Ossa di Shelley, bassorilievi in marmo e in pietra calcarea, sorta di charade, omaggi alla parola poetica “semi cancellata dal mare”, occasionate (’85) dall’epigrafe presente su casa Magni, l’ultima dimora del poeta a S. Terenzo, sono un esempio molto pregnante dell’importanza che l’artista attribuisce alla memoria. Ma l’attenzione a questa potente molla delle nostre azioni è presente in tutte le sue opere, comprese quelle apparentemente più concettuali, come il suo Autoritratto nello specchio convesso, raccolta di documenti ufficiali, testimonianze lampanti della violenza del tempo e delle istituzioni sociali sull’individuo.
Fare un elenco delle sue numerose “invenzioni”, nel senso originario della parola, è sterile: le opere di De Leonardis (i Musei, i Muri, le Carceri, le Compressioni ecc.) vanno viste direttamente. Come ha espresso chiaramente Luigi Grazioli in un racconto a lui dedicato, nei suoi lavori bisogna “attraversare uno spazio che ti attraversa” e le immagini fotografiche o digitali che li documentano, pur necessarie e indicative, sono del tutto insufficienti a esprimere il complesso messaggio che essi vogliono trasmettere. Comunque questo artista si dimostra attento anche agli aspetti grafici della documentazione sui propri lavori e sensibile alle valenze letterarie degli scritti propri e altrui di cui queste sono corredate.
Abbiamo di lui sia “libri d’artista” (Sonata in mi minore, D’après Beuys, Comunicato), sia opere a tiratura numerata (Album, Il Pendolo De Leonardis, Coni d’ombra, Firmanento nero, Curriculum, Chiarire, Didascalie e Trame di famiglia), sia veri e propri libri illustrati (Eclissi, In forma, Extempora). La questione dei rapporti dell’arte col mondo sociale ed economico fa parte dei suoi interessi di intellettuale. Infatti DL è autore di un blog dal titolo significativo (Fuori dai denti), i cui post sono occasionati da mostre o eventi che attirano la sua attenzione.
I suoi interessi per l’architettura vera e propria si sono espletati nella costruzione o nella ristrutturazione di pochi edifici e nella produzione di numerosi oggetti d’uso, che lui definisce di “antidesign” (lampade, tavoli, librerie, poltrone ecc.), presenti in collezioni private, esposti in mostre e pubblicati su riviste specializzate del settore.
Documentazioni su di lui, oltre che nel sito della GalleriaMichelaRizzo, possono essere reperite presso la Galleria Belvedere, la Galleria Cilena e la Galleria Continua, presso le quali egli ha lavorato.
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